6.7.12

Come te nessuna mai, Torino mia

Articoli come questo accendono qualcosa nel cuore dei torinesi. Siamo gente animata da un sincero orgoglio e da un incondizionato amore per la nostra città, è risaputo. L'ho visto rimbalzare sui social network dei miei amici torinesi quando è uscito. Anche di quegli amici torinesi che Torino l'hanno lasciata, come me. L'abbiamo lasciata per Roma o per Tokyo o per Cracovia ed è forse questo ad alimentare quel fuoco che ci si accende dentro quando vediamo "Torino" scritto da qualche parte dal nostro lontano angolo di mondo.

A dir la verità, io la Torino descritta in quell'articolo non l'ho praticamente mai vissuta. Ho fatto raramente l'aperitivo al Quadrilatero, non sono mai andata a ballare ai Murazzi, non ho mai assaggiato il bicerin in Piazza della Consolata, non faccio shopping nelle boutique d'autore e il Museo del Cinema trovo sacrilego non visitarlo (occupa il primo posto nella mia personalissima lista dei musei da me più volte visitati). Riconosco in tutta onestà che a chi non ha mai visto Torino l'articolo propone posti interessanti dove farsi un'idea dello spirito della città. Perché Torino è chic, e ad alcuni può venire necessario calarsi negli ambienti chic per iniziare a guardare la città dalla giusta prospettiva. Per me, però, non è stato necessario.


Perché poi ci siamo noi, che in quella città siamo cresciuti. Io a Torino non ho trascorso la mia infanzia, ma le do credito per avermi fatta crescere intellettualmente. E quello spirito chic sono riuscita a vederlo anche nei locali da studenti che frequentavo. Ho amato Torino nei giorni di sole seduta su una panchina di Piazza Vittorio tra una lezione e l'altra. Ho amato Torino nei giorni di pioggia al riparo sotto i portici di via Po. Sono salita sulla Mole diverse volte, ma nonostante quello mi sono laureata. Torino è sinonimo della mia vita da studentessa. Il caffè era quello dei bar della zona universitaria, ed è stato quello per cinque anni. Il gelato - al gianduja - quello di Fiorio, quando una pausa in un locale storico ci voleva proprio. Torino per me è il sushi di via Verdi e il kebab di via San Domenico, la pizza al taglio di Piazza Castello e la mensa universitaria di via Principe Amedeo. Torino è lo shopping nelle catene d'abbigliamento in via Roma o nei negozietti pseudoalternativi di via Garibaldi e via Po. Torino è la neve che cade fuori dal finestrino del tram, Torino sono i bagni di Palazzo Nuovo, Torino è stare seduta a piangere sul Lungopo Cadorna, Torino è tornare a casa con un nuovo libro.


Dove sono, allora, tutte le cose chic che leggo nell'articolo del New York Times e in cui apparentemente mi riconosco? Dov'è il battuto di fassone con il sale grosso, dove il bicchiere di Barolo delle sei di sera, dove il caffè con il cucchiaino d'argento in una tazzina così antica che con alte probabilità è la stessa da cui bevve Cavour? Io non ho bisogno di quella spruzzata di eleganza e buongusto per sentire lo spirito di Torino. Perché lo conosco. Torino è chic anche a guardarla dai bagni di Porta Nuova. Anche passeggiando per i Murazzi di lunedì mattina, quando l'odore di un week-end di eccessi non si è ancora dissipato. Anche quando piove per il quinto giorno consecutivo. (Ma poi, Torino sotto la pioggia è ancora più bella che sotto il sole, soprattutto d'inverno quando le pozzanghere moltiplicano l'effetto delle luci d'artista. Ma questo è un altro discorso.) L'articolo recentemente apparso sul New York Times è un ottimo biglietto da visita per una delle città più affascinanti in cui io sia mai stata (e a cui devo cinque anni della mia vita). Indirizza il lettore - nonché, si spera, futuro visitatore - a godere in 36 ore della Torino epicurea. Trentasei ore sono sufficienti, a mio avviso, per capire con che genere di città si ha a che fare. Una volta conosciuta quell'eleganza sofisticata che sa non farsi mai soffocare completamente, ci si accorgerà che a Torino la si respira ovunque. Perché è quello lo spirito che rende una città vecchissima così meravigliosamente giovane.

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